... i mestieri                                                 Cava Manara
 
 

'l Suclé

Questi artigiani che costituivano per il pavese un invidiabile e meritato primato, possono, anzi devono essere divisi in due gruppi o categorie:

  • I suclè da soca (da ceppo).
  • I suclè da fér (da coltello).

    Al primo gruppo, quello della prima e più grossolana lavorazione, appartenevano coloro che dal tronco dell'albero appena abbattuto, segato e spaccato, sapevano con pochi e ben assestati colpi di mannaia dar forma concreta ai ceppi degli zoccoli che poi, artisticamente infilati a capo e coda fra due bastoni strettamente legati fra loro, costituivano le tradizionali bacàta d sòcal (una dozzina di paia) che veniva venduta intiera agli zoccolai del secondo gruppo. E bisognava vedere con quanta agilità e perizia veniva manovrata la mannaia da questi artigiani i quali per atavismo innato avevano ereditate le virtù ed i segreti dagli ascendenti e, saputili conservare o migliorare si apprestavano ad insegnarli ai figli ed ai nipoti.

    Tich! tach! ; si potevano contare i colpi...
    Uno, due, tre, fatto il piano superiore;
    Uno, fatto il lato destro;
    Due, fatto il lato sinistro;
    Uno, due, fatta la punta;
    Tach -Tach, abbozzato il tacco.

    Pochi colpi leggeri per la sagomatura finale e poi un lancio, una traiettoria sempre uguale e gli zoccoli finivano sulla, catasta da dove i bambini o i vecchi li toglievano per contarli ed infilarli. E ad ogni colpo una scheggia volava (una tàpla da sòcla) e tutt'in giro era un lancio di questi innocui proiettili che accumulati a dismisura venivano venduti - una volta - a cinque lire al carro, con facoltà per il compratore di caricarsene a proprio piacimento, tanto che qualcuno avendo sovracaricato il veicolo era costretto a coprirlo con un telone per non perderne durante il tragitto.
    Arrivati gli zoccoli, che generalmente erano costruiti con tavarné (gattice; pioppo bianco), con àlbra (pioppo nero) o con unissi (ontano), (ed in questo caso era una piccola fortuna perché oltre alla bellezza estetica del legno rosso vi era anche la più lunga durata data la maggior resistenza all'usura), nel negozio dello zoccolaio - i suclè da fèr - veniva mobilitata tutta la famiglia allo scopo di completare l'opera di cui ciascuno poi sarebbe andato orgoglioso. Mentre il marito seduto, maneggiando un lungo e tagliente coltello a due manici, e tenendo come in una morsa lo zoccolo fermo fra caratteristici ceppi di legno fissati rispettivamente, con l'interposizione di appositi cuscini imbottiti, al petto ed alle ginocchia, asportava sotto forma di trucioli (riss da suclè) la parte esuberante del legno per dare grazia ed agilità alla suola,la moglie si industriava a tagliare ed a cucire i pàtt (tomaie) di panno o di cuoio, orlandole nella parte superiore, ed i ragazzi, magari bambini, martello alla mano e, bròch (chiodi) in bocca inchiodavano la tomaia al ceppo, provvedendo così alla finitura della calzatura più popolare che sia mai esistita. Una corta striscia di pelle inchiodata all'ultimo momento sotto i tacchi serviva a tenerle appaiate, e quando il capolavoro doveva presentarsi più elegante, una mano di vernice nera data al contorno della suola serviva allo scopo.
    Un paio di questi zoccoli veniva venduto nei primi anni del secolo corrente a prezzi varianti da 30 ad 80 cent., e quando venivano acquistati per i ragazzi, che data la loro vivacità, li avrebbero consumati in poco tempo, i genitori provvedevano fin dal principio a farvi inchiodare sotto i cicàt (pezzi di cuoio). Ciò nonostante non veniva per nulla attutito il rumore caratteristico prodotto nel camminare.